La Cavalleria nella Grande Guerra

Alessandro Marini

27/11/23

Storia

Fanti e Cavalieri italiani nella grande guerra

Spesso, quando si parla della grande guerra, tendiamo a celebre, anche involontariamente, più gli alpini rispetto agli altri battaglioni che vi parteciparono. Ovviamente, gli alpini ebbero un ruolo centrale e determinante per gli esiti del conflitto, ma non bisogna dimenticare corpi come quello dei bersaglieri o dei cavalieri. Per tale ragione, ho deciso di celebrare i reggimenti di cavalleria del Regio Esercito che parteciparono al primo conflitto mondiale. Infatti, sebbene la cavalleria rimase in attesa nelle retrovie, pronta ad entrare in azione all’occorrenza, visto che la sua utilità in trincea era quasi nulla, è giusto sottolineare l’importanza che ebbe in un paio di situazioni che si rivelarono decisive. In ogni caso, i cavalieri appiedati ed utilizzati nelle trincee, in alcune situazioni diedero prova di grande coraggio e ciò si sottolinea bene nel motto “Soit à pied soit à cheval, mon honneur est sans égal”. La prima occasione in cui si deve sottolineare la loro audacia e il loro eroismo, si ebbe dopo la disfatta di Caporetto, in cui grazie al sacrificio di numerosi cavalieri che si frapposero fra le truppe italiane in rotta e gli austriaci galvanizzati dallo sfondamento, venne evitato il possibile superamento del fiume Tagliamento da parte degli austriaci, con il conseguente dilagare delle truppe nemiche nella pianura Padana e con risultati nefasti per l’ancora giovane Nazione. Tuttavia, la disfatta di Caporetto, la successiva stoica resistenza sul Piave, perpetuata anche e soprattutto dagli irriducibili alpini ed infine la rivincita di Vittorio Veneto, diedero un senso di unità non solo ai fanti in trincea, ma a tutta la Nazione che seguiva con apprensione le notizie dal fronte e che spinsero tutti gli italiani a contribuire in vario modo alla vittoria finale. L’Italia si trovava unita, al fronte come nel resto del paese, nello scongiurare una nuova Caporetto che avrebbe potuto riproporre le atrocità compiute ai danni della popolazione italiana ed in particolare donne e bambini, nelle terre conquistate dalle truppe austro-ungariche, oltre al rischio di perdere delle importanti città come Milano e Torino fra tutte, infliggendo un duro colpo all’unificazione della penisola e a cui si sarebbe dovuta aggiungere una nuova umiliazione, molto più scottante della precedente. Al fronte, i fanti di regioni diverse, che parlavano dialetti diversi e a volte incomprensibili uno dall’altro, fecero causa comune, comandati dal nuovo generale Armando Diaz, un napoletano e non un piemontese come Cadorna, il responsabile numero uno della disfatta di Caporetto. In ogni caso, tutto ciò venne evitato anche grazie ai cavalieri d’Italia che tornati in sella dopo anni di trincea, diedero una prova di coraggio e sacrificio encomiabili. La seconda volta in cui la cavalleria venne fatta scendere in campo, fu nella grandiosa battaglia di Vittorio Veneto. L’ordine era semplice, conquistare più città possibili, prima dell’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti del 4 novembre. Tant’è che il generale Diaz nel bollettino del 4 novembre proclamò “l’irresistibile slancio delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente...". Tanto che la “Gazzetta del Popolo” del 3 novembre titolò: “Le nostre truppe hanno occupato Trento e sono sbarcate a Trieste. Il tricolore italiano sventola… Punte di cavalleria sono entrate in Udine”.

 

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