Il Protoromanzo

Alessandro Marini

08/04/24

Storia

Foto della pergamena su cui è stato scritto "L'Indovinello Veronese"

Il protoromanzo è un termine coniato da uno studioso tedesco negli anni sessanta dell'Ottocento per indicare gli idiomi parlati nei territori prima facenti parte dell'impero romano, in cui vigeva il latino ed è da molti preferito al termine di latino volgare. Il protoromanzo include il periodo che va dal VI secolo all'XI secolo e si pone quindi in contrapposizione al termine di latino volgare che iniziò ad affermarsi a partire dalla crisi del III secolo, quando in seguito alle guerre civili e alle invasioni barbariche diminuirono gli scambi commerciali e culturali, facilitando la nascita di autonomismi e quindi di dialetti locali. Detto ciò, il primo documento in lingua romanza è per molti studiosi "L'Indovinello Veronese", ritrovato nel 1924 e risalente tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX, quindi non molto tempo dopo la caduta del Regno longobardo. Di seguito il testo dell'indovinello: "Se pareba boves alba pratalia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba". Per altri studiosi invece l'indovinello veronese non è nient'altro che un latino medievale o tardo latino, sebbene già diverso grammaticalmente e lessicalmente, ad esempio per l'uso del termine negro e non di quello latino nigrum. La tesi che vorrebbe l'indovinello come primo testo in protoromanzo fa riferimento alla vicina benedizioni latina, che riportiamo "Gratias tibi agimus omnipotens sempiterne Deus" e ciò indica che il copista conosceva la differenza fra latino e volgare e perciò sapeva di star scrivendo in un idioma diverso dal latino e ciò indica che ci troveremmo di fronte ad una lingua diversa a tutti gli effetti. Tuttavia, chi propende per la tesi opposta, ritiene che la formula in latino sia di uno scrittore più tardo. Se quanto detto ora fosse vero, il primo testo in lingua protoromanza della penisola sarebbe il versetto poetico popolare, probabilmente di una chanson de femme, scoperto nel 2022, che recita: "Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene". Tale verso risalente tra la fine dell'IX secolo e gli inizi del X sembrerebbe essere stato trascritto da un monaco e ciò ovviamente significa che il volgare era già parlato dalle comunità italiche. La conferma arriva dai filologi Formentin e Ciaralli, secondo cui l’uso del plurale asigmatico 'onesti iovene' dimostrerebbe che il verso è stato scritto in una varietà italoromanza.

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